Così si dice, anche se letteralmente non si po' tradurre in frittella, perché non ha nulla a che vedere con la frittura … è un piatto
della tradizione culinaria siciliana e palermitana in modo particolare. E' leggerissimo e ricco di sapori primaverili, tutto vegetariano, e che si presta bene sia come antipasto (specie se in agrodolce,
sublime!), sia come contorno (anche se secondo me sarebbe sprecato, è troppo completo per adattarsi ad essere un
semplice contorno) ma soprattutto come condimento per un estasiante piatto di
pasta (date un'occhiata a questi 'spaghetti ca frittedda' e poi mi dite!).
La 'frittedda' si mangia solo in primavera e poi basta, non fatela
con le verdure surgelate (tranne i pisellini, quelli io li uso ‘esclusivamente’
surgelati!). Perché le fave devono essere tenere tenere e raccolte da poco, i carciofi al tatto devono essere duri, al palato carnosi e privi di peluria, la cosiddetta barbetta. E poi devono avere le spine! Qua da noi le fave sono apparse già da un paio di settimane, anche se io ho resistito a comprarle, aspettavo che crescessero le nostre (l'orto di bimbapimba è sempre un po' in ritardo rispetto alla produzione locale)... ma siccome mi sono stancata di attendere (sono certa che mangerò fave sino a giugno, come l'anno scorso... e questo devo dire che ha rappresentato per noi un bel privilegio) ieri le ho comprate ed ora eccole qua, pronte per esser mangiate!
La ricetta si offre a
due interpretazioni: molti la intendono esclusivamente nella versione
agrodolce, con l’aceto e lo zucchero, e quindi da mangiare fredda (si conserva
per due giorni in frigorifero tranquillamente). Ma rientra nella tradizione di altrettante famiglie lasciarne la metà (se non tutta) senza aceto né
zucchero, arricchita con una bella spolverata di prezzemolo e pepe nero (qualcuno la
menta, non noi)… e in questo caso si può mangiare calda calda o tiepida… oppure, come vi
accennavo sopra, può costituire un ottimo condimento per un primo piatto, con l'aggiunta di un poco di ricotta di pecora e del
finocchietto selvatico.
Ingredienti per quattro/cinque persone: un chilo di fave
fresche (che sbucciate diventeranno circa 300 g o poco più), 320 g di pisellini
primavera (i più teneri che trovate. Stesso peso sbucciato delle fave,
praticamente), tre carciofi con le spine, belli grossi, un cipollotto scalogno
grosso o altrimenti due piccoli, una manciata di prezzemolo. P.S. Se la fate in
agrodolce, aggiungete alla fine (ancora a caldo, sul fuoco) un cucchiaio di
aceto e mezzo di zucchero (disciolto precedentemente nell’aceto). Fate
evaporare l’alcool e spegnete. Ma mangiatela ben fredda però!
Procedimento: mondate i carciofi (come al solito, togliete
tutte le foglie dure esterne sino a giungere al cuore, poi tagliate la punta
delle foglie, più o meno a metà altezza delle stesse, infine tagliateli a metà
per il senso della lunghezza, togliete la barbetta e affettate, in questo caso
ogni metà tagliatela in tre spicchi), tagliateli come suggerito prima e
lasciateli in acqua e limone affinché non anneriscano troppo. Tagliate a
rondelle molto sottili lo scalogno. Mettete un pentolino di acqua salata sul
fuoco e quando bolle gettatevi i carciofi precedentemente sciacquati, per una
trentina di secondi. Serve a fargli riprendere il colore verde. Poi
sgocciolateli con una schiumarola e versateli in un tegame, dove avrete
soffritto in acqua e olio evo il cipollotto. Fateli rosolare per cinque minuti
(eventualmente aggiungendo un cucchiaio di acqua calda).
Aggiungete
i pisellini e le fave (se sono molto piccole aspettate qualche minuto prima di versarle nel tegame, perché cucinano velocemente. Altrimenti inseritele assieme ai pisellini). Rosolate per qualche minutino, girando spesso. Poi salate e pepate, aggiungete
qualche cucchiaio di acqua calda (poca, le verdure non devono nuotare nel
liquido se non in quello che rilasciano loro stesse) e abbassate la fiamma.
Coprite e lasciate cuocere per una ventina di minuti. Girate spesso, ma
evitando se possibile il cucchiaio, bensì agitate il tegame in modo che le
verdure si mescolino. Usate un cucchiaio di legno quando necessario. Aggiustate
di sale (non mi stancherò mai di dire che bisogna assaggiare spesso durante la
cottura, non pensate di mettere il sale tutto prima, potreste eccedere ma,
anche, pensare di averne messo abbastanza. E, a meno che non abbiate problemi
di salute, certi piatti tradizionali non possono essere serviti insipidi! I
nostri antenati ci ripudierebbero!) e aggiungete se necessario, durante la
cottura, un cucchiaio di acqua calda alla volta. Quando le verdure saranno
tenere (ma non sfatte) spegnete e lasciate intiepidire. Poi guarnite con una
bella spolverata di pepe nero e del prezzemolo tritato, e servite.
Per la versione agrodolce non cambia nulla. A fine cottura,
prima di spegnere, aggiungete l’aceto con lo zucchero, girate, fate evaporare
l’alcool e spegnete. In questo caso però la ‘frittedda’ non si può mangiare
calda, quindi dovrete aspettare qualche oretta per farla riposare. Inoltre,
potrete dire addio ad un bel piatto di spaghetti e questo non va bene!
Io, al posto vostro, farei metà e metà! Così si contentano
tutti in famiglia!
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