il mio Pan mèìno, brunito e caramellato con elisir di zibibbo, al posto del sambuco che non ho trovato |
Prima di essere un dolce, piccolo e dorato, il Pan mèino, o
meglio noto come Pan de Mej o panmein (in dialetto originale) - ossia pane di miglio - era un pane dolce, ma era un pane.
La sua pezzatura andava dai 500 g agli 800 g. Si presentava di colore brunito scuro ed
era caramellato in superficie (una descrizione inequivocabile riscontrata in più fonti attendibili). L’interno invece era giallo, come le farine di
cui era composto: miglio, essenzialmente, e un po’ di farina bianca. Era
aromatizzato al sambuco, c’è chi dice al suo interno e chi sostiene solamente
in superficie.
Oggi il Pan de Mej più comune è a base di farina di mais, è
molto più piccoletto, come un grosso biscotto morbido, schiacciato e dorato. È
la versione dolce del vecchio pane al miglio, elaborata negli anni in funzione
dei tanti cambiamenti sociali. Il miglio infatti, il grano dei poveri, a
partire dalla metà del Cinquecento è stato lentamente sostituito dal mais, un
cereale molto più redditizio che ha trovato terreno fertile nel Nord Italia.
Oggi il miglio è tornato in voga poiché, non contenendo
glutine, è stato reintrodotto come ingrediente nella panificazione e nella
produzione dei dolci per gli intolleranti a questa proteina del frumento. In
genere mai da solo, ma tagliato con altre farine, il miglio sembra poter
trovare sempre più spazio nelle nostre cucine, anche perché è ricco proteine e di minerali, fra cui silicio, calcio e magnesio, nonché fonte di fosforo e vitamina A ... e poi conferisce un buon sapore dolce, caldo e morbido. Ecco perché ho pensato
che, volendo proporre una versione sglutinata del vecchio Pan mèino, che sappia
di tradizioni non troppo elaborate, ho reintrodotto proprio lui: il miglio, ma nella
versione integrale, ovvero con più fibre.
C’è un motivo per questa mia ultima scelta, ed è relazionato alla
corretta nutrizione del celiaco: le farine industriali che si utilizzano in
genere sono a base di amidi, molto raffinati e per questo motivo nocivi alla
salute dell’intestino. Miscelarle a farine grezze, contenenti fibre, dovrebbe
essere una nostra ricerca costante. Non è sempre possibile, perché per ottenere
pani o dolci ben soffici e lievitati spesso queste farine non sono indicate.
Quando si panifica però si può scegliere. Il pane quotidiano può e dovrebbe
essere sempre integrale.
Ecco perché, a maggior ragione oggi, confrontandomi con una
ricetta che per tradizione era già concepita con farine pesanti (per quanto
tagliate con parte di frumento raffinato), ho pensato fosse appropriato usare
il miglio e per giunta integrale. L’ho miscelato in parte uguale al mais, per farlo somigliare alla versione attuale, ma dovendo usare una parte di farina
bianca, ho scelto un mix industriale di farine glutenfree che ovviamente contenesse come primo
ingrediente il frumento deglutinato e poi che fosse possibilmente senza retrogusti, per non alterare il già delicato equilibrio di sapori. La proporzione fra le farine però è inversa: il mix è
maggiore rispetto alla farine di miglio e mais, questo perché il mix al suo
interno contiene anche l'amido di mais.
Ho trovato una ricetta in un’enciclopedia di cucina italiana.
A parte alcuni errori nei dosaggi (che dovendo tradurre in glutenfree non ho
tenuto in grande considerazione), mi aveva attratto proprio per la
presentazione fotografica. Diversamente dal Pan de mej venduto in genere ogni 23 di aprile
(ed ora vi spiego anche il perché del giorno), la pagnottina nella foto in questione era molto
più rustica, scura, spaccata e sbrodolante di uno sciroppo zuccherino che la
rendeva al contempo familiare e invogliante. A dire il vero, l’aspetto dell’odierno
Pan de mej infatti a me personalmente non piace molto, somiglia a molti altri biscotti. Ma il sapore è differente. E posso tranquillamente
affermare che quello è rimasto quasi identico (a parte i fiori di sambuco, che non
ho trovato da nessuna parte) perché il procedimento e gli ingredienti sono
quelli, non li ho cambiati. Ma c’è il miglio, ormai dimenticato dai più, che aggiunge un pizzico di
nostalgia, oltre che di gusto. La consistenza è pressappoco la stessa, sono
morbidissimi, quasi soffici appena sfornati. Il giorno dopo seccano un po’ ma, appena
appena riscaldati, tornano morbidi e profumati. Così come per il pane, non si possono
conservare troppi giorni perché si asciugano (anche se, pucciati nel latte
fresco, vi assicuro che sono sempre tanto buoni!).
E adesso una nota folclorica che poi è tradizione e per questo, più che folclore, è storia vera e propria. Si narrano un paio di vicende attorno a questo pane (quando era ancora pane e non dolcetto).
Qualcuno dice che, nel 1342, invocato dalla popolazione dei
contadini, subissata dalle malefatte di una banda di briganti, il nobile Luchino Visconti sconfisse e uccise il capo dei malviventi, un certo brigante Vione, in una
località a sud della città di Milano, poi nota come là dove “Morìvione”, ovvero un
quartiere tutt’oggi esistente. Era il 23 aprile, quel giorno si stipulavano i
contratti fra lattai e mandriani e per ringraziare, nonché per rifocillare i
soldati del nobile furono distribuite tazze di panera - panna fresca - e pani di miglio.
Ma non tutti credono a questa lontana leggenda e i più sono fedeli alla più
schietta tradizione che vuole, come buon auspicio, che il giorno di San Giorgio
tutti i lattai presenti per il rinnovo dei contratti offrano panna fresca ai
contadini per intingervi il pane dolce, il Pan mèino per l’appunto. Comunque
siano andate le cose, il 23 aprile era il giorno del Pan de mej e lo è
tutt’oggi, nonostante la tradizione a quanto pare si stia perdendo, quanto meno
nella memoria delle nuove generazioni.
Io, come voi ben sapete, non sono affatto milanese (per chi
ancora non l’avesse letto sono una palermitana puro sangue), ma amo le
tradizioni, tutte. Cerco sempre i sapori antichi, quelli che raccontano altro,
che narrano storie di gente comune, di popoli, di culture. Mi piace
confrontarmi, valorizzare, qualche volta azzardare commistioni (mi si perdoni
infatti, cari amici milanesi, l’accostamento con l’essenza di uva zibibbo, che
ha sostituito il sambuco riproponendo la versione caramellata della crosta
dell’antico pane dolce al miglio). Ecco, mi fermo qua, per non tediarvi troppo.
Spero che vi piaccia questa mia ricetta come è piaciuta a me, fatemelo sapere se
credete di volerlo fare, anche criticandomi e dandomi dei suggerimenti. So di
rischiare, perché mi sto immergendo in una storia che non mi appartiene, ma
sono una studiosa e appassionata di cucina, del buon gusto e della storia
gastronomica della mia regione, che non è solo la Sicilia, ma l’Italia intera,
per non dire il mondo!
Ingredienti per 8-10 piccoli pani
300 g di mix di farine per pane bianco esSenzaGlutine (vi lascio il link alla loro homepage, per capire chi sono)
100 g di farina di miglio integrale
100 g di farina di mais finissima (meglio non appesantire con quella grossa, perché tutte le nostre farine sono già pesanti)
100 g di burro morbido
25 g di lievito di birra fresco
2 uova intere
200 g di latte intero
120 g di zucchero
1 pizzico di sale
zucchero a velo
2 cucchiai di fiori di sambuco secchi (se li trovate, io non li ho messi
perché introvabili, e ho profumato il pane con un'Elisir di Zibibbo, proveniente da Pantelleria, eventualmente sostituibile e mio avviso con un buon miele di zagara, per restare in tema di contaminazioni in cucina!)
Impastare sciogliendo il lievito in parte del latte tiepido,
unite le farine (miscelate tra loro e allo zucchero) un po’ alla volta,
alternandole alla restante parte del latte, alle uova sbattute e al burro
morbido. Verso la fine unire il sale. Lavorare per circa 5 minuti (con la
planetaria a velocità media), poi prelevare l’impasto e versarlo in una ciotola
imburrata, formare una palla, coprire a cupola e farlo lievitare per un paio
d’ore, dentro il forno spento con le lucine accese ed un pentolino con acqua
bollente, se necessario affinché all’interno del forno si raggiungano i 26°C
circa (io spesso l’accendo con il termostato a 26°C e appena raggiunta la
temperatura spengo lasciando le lucine accese. Solo dopo inserisco l’impasto).
Deve quasi raddoppiare, non di più perché non ce la può fare, vista la gran parte di farine pesanti senza altri addensanti aggiunti.
Poi formare delle pagnottine di circa 8-10 cm di diametro
(io le ho fatte più alte, come diceva il libro di ricette. Ma per la maggiore - come di certo già saprete - si fanno più schiacciate e,
in compenso, ne vengono di più. Cambiano i tempi di cottura, che poi vi
indico). Poggiarle su carta da forno infarinata (mais), posta su una teglia da forno piatta, e coprire con un panno
pulito, lasciandole lievitare per altri 45 minuti circa.
Mezz’ora prima del
termine, accendere il forno a 220°C, statico (con pietra refrattaria, ma se non
l’avete una leccarda rovesciata, sull’ultimo gradino del forno). Quindi
spolverate i pani con zucchero a velo ed infornate la teglia, poggiandola sulla
refrattaria.
Cuocete per 15 minuti. Poi alzate al centro la teglia ed abbassate
la temperatura a 180°C, lasciando cuocere per altri 10-15 minuti. Coprire con un
foglio di carta d’alluminio, per non far scurire troppo, dopo i primi 15
minuti (se le fate più basse e piccole, cuocetele a 200°C statico per 15-20
minuti in tutto (dipende dal forno), prima sotto, per 10 minuti, poi al centro, per altri 5-10).
Spennellare con sciroppo di zucchero e coprire con fiori di sambuco (o in alternativa con solo miele o elisir di zibibbo, come ho fatto io).
Spennellare con sciroppo di zucchero e coprire con fiori di sambuco (o in alternativa con solo miele o elisir di zibibbo, come ho fatto io).
il Panmein col miglio! |
organizzato da Glutenfree Travel & Living e Sglutinati
e al GFFD di Glutenfree Travel & Living
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