In questo caso, nel caso particolare di mia nonna, suppongo che di nascosto avesse proprio quelle susine che i suoi bambini rubavano, ogni estate, da un albero proibito. Il Susino delle sue vecchie zie, zitelle e molto severe ... ora vi racconto la storia del PASTICCIO DI SUSINE di mia nonna ...
IL PASTICCIO DI SUSINE DI NONNA SARINA
Con la chiusura delle scuole, Sarina faceva le valige e le caricava sul carretto, assieme ai suoi tre figli maschi. Lei preferiva aspettare il Tram che dalla Stazione Centrale l’avrebbe portata dall’altro lato della città, nella grande villa dove abitavano il vecchio padre e le di lui sorelle, Sisidda (versione dialettale palermitana del nome Rosaria) e Vicenzina (diminutivo di Vincenza). I suoi bambini erano felici di viaggiare appollaiati sui bagagli barcollanti del carretto anche perché, a trainare tutti quanti loro, c’era sempre un asino, ma col cappello!
Era stato stabilito da poco, per legge, che anche gli
animali da soma avessero il diritto di non crepare sotto "il pico del sole" (in siciliano, il momento di maggior calura, in cui il sole è a mezzogiorno) e da
quel momento in poi il primo carrettiere sprovvisto di una paglietta a tesa
larga, con i buchi per le orecchie della sua povera bestia, si sarebbe beccato
una bella multa. I primi asini col cappello strapparono sorrisi e
ilarità a destra e a manca, soprattutto tra i ragazzi di strada della mia città.
Ogni estate dunque mia nonna si trasferiva in campagna,
nella grande villa di famiglia dove credo che lei non avrebbe mai più
rimesso piede, se non fosse stato per il bene dei suoi figli.
Era, ed è tutt’ora (anche se non appartiene più a noi), una casa meravigliosa, un’antica
residenza nobiliare di metà Settecento, immersa nel verde (in ciò che è rimasto
del verde) della Piana dei Colli di Palermo, un tempo piantumata ad agrumi, arance,
limoni e mandarini, la nostra più florida economia sino alla metà del secolo
scorso. È lì che io sono nata e quella è ancora la casa dei miei sogni.
Non sapevo però, da bambina, che nel ‘giardino di mio fratello’ (così
chiamavo il fazzoletto di terra recintato e facilmente scavalcabile che papà, con mia somma invidia, aveva destinato ai giochi selvaggi del
primogenito, con soldati, indiani e relativo accampamento, quelle cose da
maschio che io preferivo decisamente alle bambole), non sapevo dunque che in
quel giardino, ai miei occhi incantato, c’erano una volta solamente due alberi. Ma due
alberi immensi. Un Gelso ed un Susino. E non sapevo che su quegli alberi, sul Gelso
in particolar modo, mio padre e i suoi fratelli ci passavano giornate intere,
saltando a torso nudo da un ramo all’altro e dal più alto tuffandosi nell’acqua
gelida e tersa della vicina gebbia per l’irrigazione. Con i frutti più acerbi
poi, la sera, mia nonna gli strofinava le macchie nere come l’inchiostro,
lasciate sulla pelle da quei dolcissimi e succosi doni della natura.
I gelsi.
I gelsi però maturano in luglio e l’attesa per quei tre
monelli era sin troppo lunga. Bisognava
pur saziarsi per l’arsura con qualche altra delizia del creato e proprio là, accanto al Gelso,
c’era lui. L’albero di Susino di Sisidda e Vicenzina. Quale migliore
soddisfazione si sarebbero potuti prendere, se non facendo un piccolo e innocente
sfregio a quelle arcigne zie ultra ottantenni, che comandavano a bacchetta chiunque in quella
casa, anche e soprattutto la loro dolce mamma. E così, non appena giunti in
villa, il loro primo pensiero era quello di correre al Susino, prima che le
vecchie contassero uno per uno i frutti, destinati a diventare prugne secche per
l’inverno e solo per il loro personale consumo. Non sempre erano mature, ma pur di scippargliele, anche acerbe,
quelle sfere verdeggianti diventavano irresistibili. Le più dolci,
però, si portavano sempre in omaggio alla mamma.
E mia nonna, dopo aver fatto finta d’essersi arrabbiata, le
nascondeva bene al fresco per farne un dolce al fine settimana. Le
vecchie in cucina non sapevano far nulla e non ci mettevano mai piede. Quello
era il mondo della serva di casa e di mia nonna, quando tornava in villa. E in
quei tre lunghi mesi estivi lei diventava la vera regina del focolare
domestico.
Mio padre e mio zio, i figli di Sarina, non ricordano più
cosa la loro mamma cucinasse allora, nè tanto meno se realmente quelle susine o
prugne, che per davvero loro da ragazzini rubavano alle zie, finissero in un bel
dolce o fossero invece restituite alle vecchiette, pur di calmare le loro ire. Io non voglio
crederci. E penso che nemmeno lei, la mia dolce nonna, abbia resistito come me
a provare quel semplice “Pasticcio di susine” riportato nella sua meravigliosa agenda
il 24 giugno del 1951, proprio nei giorni del loro arrivo in villa. E poi, quale miglior
ricetta se non un bel Pasticcio poteva servire per coprire un altro dolce
pasticcio, quello in cui la mettevano continuamente i suoi bambini turbando a
bella posta la quiete di quella triste combriccola di vecchi astiosi.
È per questo che oggi l’ho provata. Ed anche io, come loro, come i figli di Sarina, pur di realizzare un mio sogno ora e subito ho afferrato di getto le prime susine che ho trovato e le ho nascoste in cucina, al fresco, destinandole al Pasticcio che mia nonna mi avrebbe potuto insegnare a preparare. E forse avrei dovuto comprarle più mature, forse avrei dovuto cercare quelle indicate in ricetta… ma quel vecchio albero che oggi non c'è più si è mostrato ai miei occhi all'improvviso ed io ho raccolto la sua frutta prima che il tempo, o la memoria, se la portasse via.
È per questo che oggi l’ho provata. Ed anche io, come loro, come i figli di Sarina, pur di realizzare un mio sogno ora e subito ho afferrato di getto le prime susine che ho trovato e le ho nascoste in cucina, al fresco, destinandole al Pasticcio che mia nonna mi avrebbe potuto insegnare a preparare. E forse avrei dovuto comprarle più mature, forse avrei dovuto cercare quelle indicate in ricetta… ma quel vecchio albero che oggi non c'è più si è mostrato ai miei occhi all'improvviso ed io ho raccolto la sua frutta prima che il tempo, o la memoria, se la portasse via.
Oggi vi lascio dunque questa semplice ricetta, ancora un dolce che, penso, almeno una volta nella vita mia nonna avrà di certo preparato. Io l’ho fatto esattamente come dice
l’agenda, adattando la frolla alle farine senza glutine. È venuto buono, almeno a me è
piaciuto moltissimo, nonostante le mie susine fossero acerbe e sin troppo succose. Voi,
se lo farete, dovrete scegliere frutta ben matura e asciutta. Per il resto, seguite
le istruzioni dell’agenda di nonna Sarina… e assaporerete il gusto semplice e
genuino di una volta.
La ricetta originale diceva così...
PASTICCIO DI SUSINE (ricetta antica, fra parentesi le mie piccole variazioni)
Dosi (per 6 porzioni)
"150 g zucchero"
(io di canna, e solo 75 g)
(io di canna, e solo 75 g)
"1/2 kg susine Claudie"
(io quelle che ho trovato!)
(io quelle che ho trovato!)
"cannella"
"noce moscata"
"garofano"
(quest'ultimo io non l'ho messo)
"noce moscata"
"garofano"
(quest'ultimo io non l'ho messo)
"pasta frolla"
"scorza di un limone"
(io biologico)
"scorza di un limone"
(io biologico)
"Fate una pasta frolla come a pag 41 ...
questa è la Pasta Frolla di pagina 41... |
(e cioè, per i celiaci, prendete)
84 g farina di riso finissima
38 g amido di mais
18 g fecola di patate
10 g farina di mais finissima
2 g Xantano puro
(l'originale dice 150 g di farina)
38 g amido di mais
18 g fecola di patate
10 g farina di mais finissima
2 g Xantano puro
(l'originale dice 150 g di farina)
80 g burro
(l'originale dice 100 g)
(tagliatelo a cubetti di 1 cm ma non ammorbiditelo troppo)
100 g zucchero
1 uovo intero
(l'originale dice solo il tuorlo)
la scorza grattugiata di mezzo limone
(meglio se biologico)
(l'originale dice 100 g)
(tagliatelo a cubetti di 1 cm ma non ammorbiditelo troppo)
100 g zucchero
1 uovo intero
(l'originale dice solo il tuorlo)
la scorza grattugiata di mezzo limone
(meglio se biologico)
e poi procedete così ...
"impastate tutto rapidamente servendovi della lama larga di un coltello
e solo alla fine impastate con la punta delle dita.
Formate una palla che lascerete riposare per qualche ora
(io in frigorifero)"
e solo alla fine impastate con la punta delle dita.
Formate una palla che lascerete riposare per qualche ora
(io in frigorifero)"
quindi...
"prendetene i due terzi e stendetela ad un'altezza di 5-6 millimetri
(in realtà, vista la dimensione della pirofila, dovete farla più sottile, circa 4mm. Dovrete lavorarla appena un po' per ammorbidirla, con le mani, infarinando il piano da lavoro con farina di riso finissima e poi dovrete stenderla su carta da forno, infarinando se necessario il matterello).
Coprite con questa sfoglia il fondo di uno stampo liscio
(io in pirex delle dimensioni di cm 19 di diametro interno, bordi retti e alti cm 6 e ho calato la frolla con tutta la carta,
così da poter tirar fuori il pasticcio tutto intero, una volta cotto);
così da poter tirar fuori il pasticcio tutto intero, una volta cotto);
riempite con le susine snocciolate e tagliate a fette sottili, spolverizzate con le spezie ridotte in polvere e con la buccia di limone grattata, coprite di zucchero.
Stendete l'altra pasta, più sottile questa (io uguale, perché era già sottile anche la base)
e posatela sui frutti.
e posatela sui frutti.
Fate aderire i bordi bagnandola col dito intinto nell'acqua.
Coprite con uno strofinaccio immerso nell'acqua bollente e spremuto,
spolverizzato di farina (io di riso);
spolverizzato di farina (io di riso);
legate bene tutt'attorno e fate cuocere in acqua bollente
(ma attenzione che l'acqua non tocchi lo strofinaccio, quindi meglio che le bolle siano piccoline, fiamma moderata),
disponendo lo stampo in modo che rimanga sospeso senza toccare il fondo.
Lasciate bollire un paio d'ore e servite caldo
(io tiepido e poi anche freddo, l'indomani, era più buono),
togliendo lo strofinaccio all'ultimo momento."
lo stampo, coperto col panno, mentre cuoce a bagnomaria |
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Baci, Bimba Pimba
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