Geo oggi |
Salve, mi chiamo Geo e sono un pastore dello Zen. Così mi hanno detto. Una razza speciale, con quattro zampe, una coda e una gran bella faccia tosta!
Adesso mi sto addormentando e fra un po' non mi sveglieranno nemmeno i botti, che all'Uditore non mancano mai. Mi sono trasferito in questo quartiere ormai da tanto di quel tempo che non mi ricordo più da dove venivo.
Anche io quando dormo sogno… il più delle volte sono in un terreno pieno di sterpaglie e ci corro dentro, veloce, veloce, senza badare a fosse, spine, pietre, rocce e rami secchi e non mi faccio mai male, nemmeno quando rimbalzo contro la rete metallica che mi si mette sempre fra i piedi… mi giro e ricomincio la mia corsa all'incontrario. Le orecchie al vento, gli occhi socchiusi, mi sento sempre più forte… mi sento invincibile!
Quando mi addormento e faccio questo sogno spesso mi
tremano le zampe e con mio enorme disappunto sul più bello della corsa quel
paesaggio d’un tratto sparisce. Ma io, per non dimenticarlo, alzo lo sguardo verso
quei grandi scatoloni gialli bucherellati e cerco di fissare le coordinate di
questo posto meraviglioso …
Perché, prima o poi, io lo ritroverò.
Dovrei però innanzitutto scappare da qua e a dire il
vero non è che mi vada di farlo, perché in fondo gli voglio pure bene a questi
strani umani con cui vivo. Nevrastenici e volubili, ma anche tanto gentili
quando vogliono… non vorrei che si offendessero. Se non fosse per loro me ne
sarei già andato da tanto tempo.
Ogni giorno spero che il mio papà umano mi porti lì, nel mio sogno. Per questo guardo sempre il mio guinzaglio che tengono appeso dietro la porta della cucina e abbaio e sgrano gli occhi, ma inutilmente, papà non mi capisce… Non mi capiscono mai - sto parlando di loro, della mia famiglia umana - non mi capiscono mai nemmeno quando gli ripeto le cose tre volte di seguito. Ma al terzo bau mi fermo, non ho speranze!
E allora guardo lontano, oltre questa maledetta edera che avvolge e nasconde tutto ma proprio tutto, tranne quella gatta Rossa che mi fa le smorfie solo perché c’è una rete fra me e lei, altrimenti…! Per non parlare delle tre vecchie tartarughe della zia Never! Riesco a vedere anche loro attraverso i vuoti fra le foglie che mia sorella Metra mi aiuta ad aprire, ogni giorno sempre un po’ di più… mi fanno impressione, con quelle corazze scure, sono strane, fanno rumore e giocano a darsi testate… sto ore e ore a guardare cosa fanno, sono così lente! ... forse potrei giocarci assieme, ma non me le fanno conoscere…
Ogni giorno spero che il mio papà umano mi porti lì, nel mio sogno. Per questo guardo sempre il mio guinzaglio che tengono appeso dietro la porta della cucina e abbaio e sgrano gli occhi, ma inutilmente, papà non mi capisce… Non mi capiscono mai - sto parlando di loro, della mia famiglia umana - non mi capiscono mai nemmeno quando gli ripeto le cose tre volte di seguito. Ma al terzo bau mi fermo, non ho speranze!
E allora guardo lontano, oltre questa maledetta edera che avvolge e nasconde tutto ma proprio tutto, tranne quella gatta Rossa che mi fa le smorfie solo perché c’è una rete fra me e lei, altrimenti…! Per non parlare delle tre vecchie tartarughe della zia Never! Riesco a vedere anche loro attraverso i vuoti fra le foglie che mia sorella Metra mi aiuta ad aprire, ogni giorno sempre un po’ di più… mi fanno impressione, con quelle corazze scure, sono strane, fanno rumore e giocano a darsi testate… sto ore e ore a guardare cosa fanno, sono così lente! ... forse potrei giocarci assieme, ma non me le fanno conoscere…
Oltre
alle tartarughe, alla gatta Rossa e a qualche amara lucertola, da qua non passa
più nessuno. Tranne che dal cielo, con tutti quei gabbiani che salgono e
scendono dalla montagna puzzolente e quelle tortoracce stizzose che mi fissano
dall’antenna, ma non hanno il coraggio di scendere. Uccellacci! sghignazzano
alle mie spalle oltre il muro verde di questa stramaledetta edera gigante che
non secca mai, nonostante io la innaffi ogni santo giorno e con la coscia ben
alzata!
Quando
la noia mi assale chiamo i soccorsi e ululo, senza pausa. Sibilo a fil di voce, per non disturbare.
È da quand’ero ragazzino
che mi piace cantare, ma con la vecchiaia sono diventato sempre più bravo
tant’è che certe volte riesco a non farmi sentire dagli umani da quanto è basso
il timbro delle mie corde vocali… sfioro gli ultrasuoni. Ma nessuno dei miei vecchi
amici ancora mi ha raggiunto. Forse parlo con i cani sbagliati! In effetti mi
confondo con tutti questi allarmi che emettono i bipedi! Le mie note sono
quelle giuste, ma ormai sono sicuro che non non mi capiscono neanche i
miei cugini di campagna.
Dove sto adesso infatti ci sono tanti giardini come il mio chiusi da mura troppo alte e a tutti noi prigionieri per amore dell’umano non rimane che parlarci a distanza… se non si mettono di traverso a fare confusione l’arrotino, l’ombrellaio e le sue cucine a gas o il pane e viscuotta e le donne! è arrivato il gelataio, ioupitittuvifazzugrapiri eccetera eccetera… per educazione io gli rispondo sempre!
Dove sto adesso infatti ci sono tanti giardini come il mio chiusi da mura troppo alte e a tutti noi prigionieri per amore dell’umano non rimane che parlarci a distanza… se non si mettono di traverso a fare confusione l’arrotino, l’ombrellaio e le sue cucine a gas o il pane e viscuotta e le donne! è arrivato il gelataio, ioupitittuvifazzugrapiri eccetera eccetera… per educazione io gli rispondo sempre!
Quando
sogno però mi passa tutta la malinconia che provo di giorno e non ululo, no! Nel
sogno non ululo mai! Nel sogno io cammino, corro e sono felice!
Sino a qualche anno fa c’era un grosso pezzo
di terra incolta, così come non molti altri ancora ne rimangono nella vasta e
non più dorata Piana dei Colli di Palermo. A parte quei pochi esemplari isolati
di agrumi che sopravvivono a memoria di quello che era un tempo non molto
lontano la periferia della mia città – la Conca d’Oro la chiamavano – di dorato
ormai non c’è più nulla in queste terre, a meno che non si ritenga oro il colore
giallo spento dei palazzi dello Zen, manifesto della tristezza che ci ammala e
che di recente ha investito anche le nostre tanto rinomate arance.
C’era dunque un grosso pezzo di terra in
quella zona, ma veramente grosso da perdervisi al suo interno, e al centro di
questo immenso feudo c’era pure una grande villa, del Settecento sembra,
decisamente malandata e cadente, come molte altre di quella zona. Per tanti e
tanti anni in quel terreno non entrò nessuno, nemmeno i contadini, perché degli
alberi di un tempo non rimaneva più traccia, eccetto qualche ulivo selvatico e
immensi limoni secolari buoni solamente a farci legna. E infatti un poco alla
volta qualcuno di nascosto li tagliava, lasciando al suolo sempre più arido i
monconi delle radici non estirpate. Questo terreno era recintato e di quando in
quando conservava anche porzioni delle mura che originariamente costituivano il
‘firriato’, l’intreccio di strade sterrate che disegnavano le campagne
circostanti la Palermo di un tempo. Queste mura erano composte da enormi conci
di tufo ed erano alte anche più di due metri e mezzo. Difficilmente oggi si mantengono
integre e molto più verosimilmente è facile trovarne piccoli tratti ai quali si
accostano le nuove recinzioni, come quella del terreno di cui stiamo parlando.
Scavalcare queste mura un tempo era quasi
impossibile, oggi però il tufo è talmente logorato che nelle sue profondità è
facile inserire la punta delle scarpe … e si è già oltrepassato il confine. Ed
è proprio così che pochi, pochissimi temerari sono riusciti ad entrare in quel
regno dell’ignoto. Nessuno infatti poteva sapere cosa succedesse in quel
terreno, se non limitatamente a ciò che era visibile appena oltre la rete di
cinta, e non era molto.
C’era un vecchio cancello di ferro, mezzo
divelto dai suoi cardini arrugginiti, ma ben serrato da una lunga e luccicante catena
avvolta in due giri e sigillata con un catenaccio nemmeno tanto robusto, ma che
nessuno avrebbe mai osato rompere. Quel terreno apparteneva a un personaggio di
cui non circolava il nome e che ovviamente non viveva in zona. Costui non ne
faceva alcun uso e consentiva ai suoi tanti amici di metterci dentro tutto quello
che volevano purché non dessero nell’occhio. Insomma quel terreno era di tutti
e di nessuno, e nessuno sapeva mai niente.
Come campagna urbana praticamente faceva
gola a chiunque avesse qualcosa da nascondere, specialmente se questa qualcosa
faceva rumore, perché dalla strada era impossibile sentire alcunché. Nel suo
cuore tutto poteva succedere e di fatti nel suo cuore succedeva di tutto, di
notte e di giorno. Discariche abusive di ogni tipo, dismissioni di automobili e
motociclette rubate che venivano smembrate e rivendute come pezzi di ricambio,
o semplicemente nascoste per venire restituite al legittimo proprietario in
cambio di una lauta ricompensa. Una volta questo lo si faceva con le bestie, si
chiamava abigeato, furto di animale con richiesta di riscatto.
Oggi questo
reato è molto più raro, gli animali non hanno lo stesso valore di un tempo, non
servono più per portare un pezzo di pane a casa. Semmai hanno molto più valore
quando sono utilizzati nelle corse o nei combattimenti clandestini, eventi che
rendono molto denaro all’ambiente mafioso per via del giro di scommesse che ne
consegue. Non sono cambiati per nulla i tempi! È già da oltre un secolo che la
mafia ha scoperto questo business, lo ha ereditato dai suoi cugini emigrati
negli Stati Uniti durante il proibizionismo e non lo ha più mollato.
Per creare dei veri campioni di lotte fra
cani bisogna che questi si allenino ad assaporare il sapore del sangue del loro
nemico. Vengono creati dei mostri.
Nessun animale attaccherebbe un suo simile
senza una più che giustificata motivazione e, in ogni caso, davanti alla resa
dell’altro il vincitore si fermerebbe al primo morso. Questo però non farebbe
alzare i ricavi sulle scommesse e perciò non conviene. Allora, per allenare i
cani più forti ci vogliono delle cavie, preferibilmente robuste, che resistano
il più possibile a quello che comunque per loro sarà il primo e ultimo ring. Per
questo motivo alcune razze fanno più gola delle altre e se si ha la fortuna di
trovare degli esemplari liberi, anche solo vagamente somiglianti ad un molosso,
li si cattura e li si fa pure riprodurre. Buone fattrici in questo caso hanno
si un grande valore, merce da proteggere e soprattutto da non tenere molto in
vista. Ci sono troppi animalisti in giro oggigiorno e le denunce per
maltrattamenti fioccano.
Qualche anno fa, una decina circa, di gente informata ce n’era meno e, soprattutto, c’era ancora quel piccolo regno dell’ignoto che anche l’animalista più convinto non avrebbe avuto il coraggio di penetrare.
Qualche anno fa, una decina circa, di gente informata ce n’era meno e, soprattutto, c’era ancora quel piccolo regno dell’ignoto che anche l’animalista più convinto non avrebbe avuto il coraggio di penetrare.
C’era dunque sino a poco tempo fa un enorme
pezzo di terra, a Nord di Palermo, dove veniva nascosto di tutto, anche e
soprattutto molti cani crudelmente sottratti alla loro libertà e
destinati a morti altrettanto crudeli e atroci. Se non a peggio. Questo posto era
prossimo ai palazzoni gialli dello Zen, la zona d’espansione che avrebbe dovuto
migliorare la qualità di vita del popolo, ma che l’ha solo peggiorata. Quello
stesso disastro architettonico che Geo ogni volta ricorda nel suo solito sogno.
Era questo, infatti, il terreno dov’è nato e dove ha vissuto per i primi sette mesi assieme alla madre e a chissà quanti fratelli, di sangue e non … e ad altre bestie, non tutte quadrupedi. Ma, nonostante abbiamo modo di credere che sia stato oggetto di molte vessazioni, quel periodo rimane paradossalmente per lui il suo ricordo più bello. Perché in quell'immenso parco giochi Geo si sentiva libero.
Era questo, infatti, il terreno dov’è nato e dove ha vissuto per i primi sette mesi assieme alla madre e a chissà quanti fratelli, di sangue e non … e ad altre bestie, non tutte quadrupedi. Ma, nonostante abbiamo modo di credere che sia stato oggetto di molte vessazioni, quel periodo rimane paradossalmente per lui il suo ricordo più bello. Perché in quell'immenso parco giochi Geo si sentiva libero.
Geo dunque era uno di quei poveri cristi di
cani solo lontanamente somiglianti alle razze da combattimento, un incrocio di
alano e un molosso di chissà quale origine, e per questo destinato ad un atroce
destino. Razza forte e robusta, la sua, tenace e molto resistente al dolore
fisico. Il miglior sparring partner che si possa desiderare per questo genere
deviato di allenamento.
Geo di tutto ciò non sa nulla, per fortuna non ha visto in faccia questa triste realtà, la stessa che invece i suoi fratelli con molta probabilità hanno avuto la disgrazia di dover affrontare. Apparentemente in lui non vi è traccia mnemonica del suo passato, anche se qualcosa sembra che gli accada quando particolari stimoli a noi ignoti all’improvviso lo sovrastano.
Geo di tutto ciò non sa nulla, per fortuna non ha visto in faccia questa triste realtà, la stessa che invece i suoi fratelli con molta probabilità hanno avuto la disgrazia di dover affrontare. Apparentemente in lui non vi è traccia mnemonica del suo passato, anche se qualcosa sembra che gli accada quando particolari stimoli a noi ignoti all’improvviso lo sovrastano.
Succede anche che sogni ad occhi aperti, cadendo
in una specie di trance. Forse, così come quando dorme, rievoca le forti
emozioni della breve ma intensa vita da cane randagio, vissuta all’interno del
piccolo branco formatisi per qualche mese in quel terreno, il suo paradiso
perduto. In questi momenti Geo è altrove, lo sguardo si perde nel vuoto e fa
cose solo apparentemente prive di senso e prive soprattutto di autocontrollo…
in questi momenti sembra che viva in un’altra dimensione.
...
Dicono che non sono molto intelligente, anzi, dicono che sono un poco scemo. Però dicono tutti che sono anche molto bello e simpatico. Qualcuno ha perfino paura di me, anche se quasi sempre sono io ad avere paura di queste persone. Le guardo negli occhi e non le perdo mai di vista. Io le guardo negli occhi perché, se hanno cattive intenzioni, lo capisco dalla loro espressione. E se è il caso sono pronto a difendermi. Puzzano di paura.
Dicono
che sono pericoloso perché mordo. Ma io in realtà non ho mai morso nessuno, ho
dato solo qualche avvertimento, quando mi hanno colto alla sprovvista.
Dicono
che non sono prevedibile, che specialmente con i bambini non devo mai essere
lasciato solo. Questo è vero, ma solo in parte. In effetti di loro non mi fido.
Sono loro quelli imprevedibili. E si esprimono male, gridano, sghignazzano come
i gabbiani nel cielo… io non li capisco, mi spavento e quando mi spavento mi escono gli occhi fuori dalle orbite.
Dicono infatti che ho lo sguardo strano, con le pupille dilatate e il sopracciglio mobile,
dicono che sono un poco strabico e che somiglio a un certo attore americano molto
famoso per l’espressione ambigua e affascinante come me. Mi pare che si chiami
Humphrey Bogart, mi pare. Io non lo conosco. Però! Quindi mi stanno dicendo che
sono affascinante…? Sono contento.
Dicono
che sono un cane triste e depresso, e disperato… lo dicono perché non sanno
quello che so io. Loro non sanno che c’è un posto bellissimo dove mi aspettano da
anni e dove potrei fare tutto quello che mi piace. Loro pensano che il mondo stia
tutto dentro questo piccolo giardino dove non ci sono animali né persone e
dove, dicono, io e mia sorella siamo al sicuro. Ma no! Non è vero che non c’è
più niente là fuori! Ma.. quando li ho portati a spasso gliel’ho fatto vedere
quant’è bello camminare sul marciapiede! Evidentemente non hanno capito nulla, come al solito.
Il
marciapiede è un posto divertente e poi non finisce mai. In pratica, è una
strada tutta bucata, piena di piante dove fare la cacca e la pipì e piena di roba
abbandonata dagli umani, roba buona, profumata di pappa, molto interessante. Sul
marciapiede ci starei tutto il giorno. È li che il mio papà cane è andato a
stare, non so in che numero civico ma lo troverò. Io il marciapiede lo conosco così
bene perché c’era anche là, nel mio paradiso, e scommetto che se cammino senza
fermarmi prima o poi ritorno dalla mamma.
Era
bello andare a zonzo lungo la recinzione e poi correre sempre più forte, anche
se le macchine correvano molto più in fretta di me. Quando mi stancavo mi
sedevo a guardarle e mi rilassavo, mi rilassavo, mi rilassavo... e sognavo:
"…
però vicino la rete non ci posso stare sempre perché quei piccoli umani mi
fanno impressione, urlano e tirano sassi, io non mi faccio male ma ho un po’
paura… l'altra volta uno di loro l’ho visto saltare dal muro, poi ha preso mio
fratello e gli ha dato un calcio forte nel sedere e lo ha fatto rotolare giù
fino alle pietre grosse. Rideva e diceva 'goool' … No, no, non bisogna stare
vicino la rete!
Anche il signore della luna me lo dice sempre e quando mi vede mi tira il collo e mi lega stretto all’albero gigante che c’è accanto alla vecchia casa dove dormiamo. Per fortuna la notte mi lascia libero perché lui è buono, non vuole che prendo freddo e che mi ammali. È tanto gentile a portarci la pappa, ora che mamma non ha più il latte fresco nelle tette ... non so perché ho sempre tanta fame e dire che ogni due lune lui arriva e porta sempre qualcosa di buono, però spesso non basta per tutti e ci costringe a litigare ... questo non mi piace! Dice che qua ci sono tanti conigli e che dobbiamo imparare a trovarcelo da noi il cibo quando lui non può venire, ma a me non mi importa! Anche se ho fame poi mi passa subito e vado a giocare lungo la rete di nascosto a lui, che tanto non c’è quasi mai!
... mi diverte trottolare su e giù e seguire le persone che camminano nel marciapiede, poi se viene la bimba grande dagli occhi verdi mi diverto ancora di più perché lei mi porta una pappa molto più buona e mi dice tante cose belle! A me mi piace tanto lei! ... un giorno ha detto che mi avrebbe fatto uscire da qua a qualunque costo. Io non ho capito perché era così arrabbiata con il signore della luna, ma poi ho pensato che sarebbe stato bello uscire e andare in cerca del mio papà cane, lì fuori, nella lunga strada grigia! ... Ho deciso che se viene a prendermi la seguo volentieri! Poi tanto quando mi stanco ritorno - stai tranquilla mamma! - che il signore della luna nemmeno se ne accorge e non mi darà le botte… e poi se mi perdo guardo in alto dove ci sono gli scatoloni gialli pieni di buchi e cose appese e vengo subito a casa …"
Anche il signore della luna me lo dice sempre e quando mi vede mi tira il collo e mi lega stretto all’albero gigante che c’è accanto alla vecchia casa dove dormiamo. Per fortuna la notte mi lascia libero perché lui è buono, non vuole che prendo freddo e che mi ammali. È tanto gentile a portarci la pappa, ora che mamma non ha più il latte fresco nelle tette ... non so perché ho sempre tanta fame e dire che ogni due lune lui arriva e porta sempre qualcosa di buono, però spesso non basta per tutti e ci costringe a litigare ... questo non mi piace! Dice che qua ci sono tanti conigli e che dobbiamo imparare a trovarcelo da noi il cibo quando lui non può venire, ma a me non mi importa! Anche se ho fame poi mi passa subito e vado a giocare lungo la rete di nascosto a lui, che tanto non c’è quasi mai!
... mi diverte trottolare su e giù e seguire le persone che camminano nel marciapiede, poi se viene la bimba grande dagli occhi verdi mi diverto ancora di più perché lei mi porta una pappa molto più buona e mi dice tante cose belle! A me mi piace tanto lei! ... un giorno ha detto che mi avrebbe fatto uscire da qua a qualunque costo. Io non ho capito perché era così arrabbiata con il signore della luna, ma poi ho pensato che sarebbe stato bello uscire e andare in cerca del mio papà cane, lì fuori, nella lunga strada grigia! ... Ho deciso che se viene a prendermi la seguo volentieri! Poi tanto quando mi stanco ritorno - stai tranquilla mamma! - che il signore della luna nemmeno se ne accorge e non mi darà le botte… e poi se mi perdo guardo in alto dove ci sono gli scatoloni gialli pieni di buchi e cose appese e vengo subito a casa …"
La bimba grande dagli occhi verdi (lui la ricorda così) è la ragazza che ha sottratto
Geo al suo atroce destino. Lo ha salvato.
In quel grande terreno e nella vecchia villa
semi distrutta c’erano moltissimi cani - almeno una ventina - qualcuno ha
sostenuto una volta di averli scorti tutti assieme da lontano. Mai però era
stato possibile dimostrare la realtà delle cose e agire di conseguenza. Di
fatto quella era una proprietà privata ben recintata e sino a quando le bestie
non avessero dato disturbo neanche le forze dell’ordine sarebbero potute entrare o
comunque fare alcunché.
I cani adulti erano tenuti in catena, legati
ad una antica palma secolare, una di quelle che tracciava il viale principale
della villa attorno la quale ormai si svolgevano esclusivamente attività clandestine. I cuccioli erano lasciati liberi di muoversi. Anche per loro, soprattutto per loro, valeva la stessa selezione naturale. Le 'bestie' dormivano in cucce precarie fatte di lamiere dismesse e pedane da imballaggio, avevano secchi
melmosi per idratarsi e pane duro bagnato dalla pioggia. Non valeva la pena spenderci molto, se non sopravvivevano voleva dire che non erano adatti allo scopo.
I più deboli o gli anziani non più fecondi, non di rado malati e denutriti, se gli diceva bene si trovavano d'un tratto per strada. Ma c'erano ancora altri usi redditizi, bastava spedirli dove era lecita la vivisezione, se non erano già stati usati per giochi e torture gratuite dai tanti bravi ragazzi del quartiere.
I più deboli o gli anziani non più fecondi, non di rado malati e denutriti, se gli diceva bene si trovavano d'un tratto per strada. Ma c'erano ancora altri usi redditizi, bastava spedirli dove era lecita la vivisezione, se non erano già stati usati per giochi e torture gratuite dai tanti bravi ragazzi del quartiere.
La bimba grande dagli occhi verdi sospettava tutto questo e più volte aveva chiesto aiuto, ma sapeva di non avere molte speranze, specie
se, così come spesso aveva già visto succedere anche in altre circostanze, i
cani, i cuccioli sopravvissuti allo svezzamento, continuavano a tenersi lontani dalla
recinzione perimetrale e quindi dalla strada. Quelle povere bestioline
d’altronde avevano il terrore della rete perché, per evitare rogne, i signori
della luna, i procacciatori di morti viventi, incentivavano i ragazzini a tirare sassi e quant’altro contro i loro stessi animali. Dicevano che
così sarebbero diventati più forti, dei veri cani da guardia e da
combattimento. Quel signore in particolare era stato visto sparare pallini di
gomma con una pistola giocattolo ai suoi malcapitati animali che, per errore, si erano
avvicinati troppo al confine. Anche se di gomma, quei pallini fanno molto male
lo stesso, e spaventano. Di fatto i cuccioli, terrorizzati, per lo più
rimanevano accanto alla madre, nei paraggi della vecchia villa. Da adulti avrebbero
dovuto avere un po’ meno paura, ma nessuno di loro arrivava a crescere tanto.
Geo in quel contesto costituì un’eccezione perché
fra tutti era il più incosciente, non aveva paura di nulla o meglio non sentiva
il dolore, neanche quando ricevette una rosa di pallini gommosi nel culo né tutte le
volte che si scaraventò contro ciò che ostacolava la sua corsa frenetica,
reti, rocce, muri di recinzione e tronchi mozzati di alberi resi invisibili dalle alte erbacce. Quel cucciolo, a parere del signore della luna, poteva essere venduto a buon prezzo perché per morire ci
avrebbe messo molto, molto più tempo degli altri.
Ma la bimba grande dagli occhi verdi l’aveva
intuito e aveva promesso a sé stessa e al cane che ad ogni costo glielo avrebbe
impedito.
Così un giorno …
se vi va di leggere, ho ancora qualche storia vera che mi piacerebbe raccontarvi ...Così un giorno …
fine prima parte
“È andato il bastardo, porca miseria a lui”
…. seconda parte
Quel giorno lei si avvicinò alla rete metallica
che separava la strada dal terreno all’incirca alle sette di sera, come usava
fare nel periodo estivo. Al tramonto c’era più silenzio e il cucciolo
l’avrebbe sentita meglio. A quell’ora la luce era ancora sufficiente per controllare
le condizioni di salute dei cani e, soprattutto, per guardarsi le spalle. La
zona non era delle migliori e i frequentatori di quel giardino lo erano ancora
meno.
Recentemente il suo amato e selvaggio amico
a quattro zampe non le era sembrato quello di sempre. Se ne stava spesso in
disparte e non più vicino la rete e, quando lei lo chiamava (non era Geo ancora
il suo nome, ma più semplicemente ‘Cucciolo’), lui arrivava mesto e spento. Non
c’era la vivacità del suo sguardo, quella che l’aveva fatta innamorare sin dal
primo giorno, piuttosto affiorava tanta tristezza da un volto sempre più incavato.
Altra novità preoccupante, non aveva nessuno al seguito. Infatti, il più delle
volte, Cucciolo-Geo si portava appresso almeno un fratellino o una sorellina, coinvolti
dalla sua esuberante galoppata verso il confine Ovest di quel loro piccolo
mondo segreto.
Quella sera, però, al suo insistente richiamo
nemmeno un cane si avvicinò alla rete. Neanche lui, Cucciolo… non c’era più?
Forse era già stato venduto?
No, non ci poteva credere perché il cane non era
ancora abbastanza forte. In fondo, anche se aveva superato i sei mesi, Cucciolo-Geo
era inesperto e inadatto ai combattimenti. E poi, con quel
carattere così docile e giocoso… e se l’avessero portato all’addestramento?
No,
non in quelle condizioni, non era pronto neanche per quello. Lo stato di salute
del cane recentemente era peggiorato, si vedeva ad occhio nudo persino
attraverso quella odiosa rete metallica. Era dimagrito, non correva più, la sua
giovane e promettente muscolatura si stava asciugando. Nessuno lo avrebbe
pagato conciato così.
Più volte la ragazza dagli occhi verdi aveva tentato di
mettersi in contatto con l’uomo della luna per riscattare quel cucciolo,
approfittando del momento. Molto probabilmente glielo avrebbe venduto per pochi
soldi, visto che rischiava di morire se non fosse stato curato. E non rientrava
fra le regole degli uomini della luna curare le proprie bestie. Ma non c’era
riuscita. Nonostante i mille messaggi recapitatigli tramite i ragazzini che
abitualmente si ritrovava fra i piedi, ogni volta che portava da mangiare a
quei poveri cani, l’uomo non si era mai fatto vedere.
Sino a quel momento, nonostante sapesse tutto
di lei e di quello che faceva per le sue bestie, l’uomo della luna non aveva
fiatato. In fondo gli faceva comodo che qualcuno nutrisse quei cani. Perché
no? Sarebbero diventati ben robusti senza spendere un centesimo. Ma da quando
lei si era messa a fare domande in giro, le cose iniziarono ad andargli storte.
Dar via la sua merce a quell’animalista del cavolo solo perché quei bastardi
avevano preso un raffreddore? Giammai! Che crepassero piuttosto, a lui non
gliene fregava più di tanto e di avere a che fare con quei rompiscatole dei
salva bestie non ne aveva la minima intenzione.
Probabilmente, pensò la ragazza dagli occhi
verdi, quel triste uomo della luna evitava appositamente ogni contatto
con chi l’avrebbe potuto denunciare per maltrattamento e incuria nei confronti
dei propri animali. E lei era pronta a farlo, anzi per la verità l’aveva già
fatto, ma invano, dato che non c’era mai stata alcuna prova del fatto.
Così si
torturava al pensiero che, anche quella volta, l’essere immondo l’avrebbe
passata liscia. Cucciolo-Geo e i suoi fratelli erano cresciuti, forse non
abbastanza, ma due erano le cose: o li aveva passati di mano a qualcun altro con
chissà quale malvagio scopo o li aveva eliminati, semplicemente perché malati
e quindi, secondo il codice del suo ambiente perverso, inutili. E in ogni caso con
lei, questa era ormai cosa certa, quell’uomo non voleva parlare.
Se c’era ancora qualche speranza per salvare
i cuccioli avrebbe dovuto agire in fretta. Subito, quella sera stessa.
Bisognava scavalcare quel dannato muro e cercarli in tutto il
terreno. Ma come?
Lei era piccola di statura e anche decisamente 'imbranata' (poco agile).
Conoscendo bene i propri trascorsi era certa che, se anche per chissà quale
miracolo fosse riuscita ad arrivare in cima a quella montagna di tufo
sbriciolante, si sarebbe presa come minimo una storta alla caviglia e di certo non
sarebbe stata più utile alla sua stessa causa.
“Salta
tu!”
Ordinò quindi e categoricamente al suo
compagno. Lui non ne aveva alcuna intenzione, era lì perché l’amava e ogni
giorno, compatibilmente con i propri impegni lavorativi, l’accompagnava durante
i giri per la distribuzione del cibo e delle cure ai loro numerosi amici. Ciò
nonostante, non aveva alcuna intenzione di infrangere la legge. E poi temeva di
essere visto da quell’assassino di cani privo di scrupoli. Era una follia e
tentò di dissuaderla in tutti i modi.
Ma quello sguardo lo conosceva bene. A quei
due meravigliosi fari verdi, abbaglianti e minacciosi, non era mai riuscito a
resistere. Lei era fermamente decisa a trovare Cucciolo e i suoi fratelli e a portarseli
via, immediatamente. Se l’uomo della luna fosse giunto in quel momento lei l’avrebbe convinto, con le buone o con le cattive. Non c’era legge alcuna sulla
violazione della proprietà privata che le avrebbe potuto impedire di salvare
una o più vite, di cui lei si riteneva in qualche modo responsabile.
In effetti, questo era il suo grande rimorso, avrebbe dovuto rendersi conto prima che c’era qualcosa di strano e che quegli angioletti avevano bisogno urgente del suo aiuto.
In effetti, questo era il suo grande rimorso, avrebbe dovuto rendersi conto prima che c’era qualcosa di strano e che quegli angioletti avevano bisogno urgente del suo aiuto.
“Salta
subito e vai dietro quelle rocce, in fondo alla collinetta, potrebbero essersi nascosti lì. Altrimenti torna e poi vediamo… se nel frattempo arriva qualcuno, se ne discute”.
E lui obbediente salì sul muro.
Infilò il piede destro in una delle tante
voragini scavate dal vento e dall’acqua, la più alta che potesse raggiungere
dalla quota del marciapiede (lui era alto e snello, abbastanza agile), poi si mise a cavalcioni sulla cima irregolare di quel pezzo
di storia urbana ed esitò un attimo…
“ora
salto giù, ma non so com’è combinato il muro dal lato interno! E se non ci
fossero crepe dove mettere i piedi, come faccio a tornare indietro?”
Nessuna pietà, nessun ripensamento l’avrebbe
distolta da quel suo obiettivo:
“Ti
ho detto di saltare! Se stai ancora seduto lassù in cima qualcuno ti
vede e ti spara!”
E lui saltò dal muro.
In fondo alla collinetta c’erano alcune
rocce naturali su cui erano cresciuti due spampinati ulivi selvatici, dal
tronco grosso e cavo, dove i cuccioli usavano ripararsi dal sole ardente del
mezzogiorno. Sovente le era capitato di vedere Cucciolo-Geo affacciarsi da
dietro quelle rocce e andarle incontro correndo, con l’energia di un puledro al
galoppo. Non era elegante come un cavallo, piuttosto era goffo, ma potente e a
suo modo aveva uno stile, allegro e inconfondibile. Poi, quando giungeva al
confine, non si sapeva fermare in tempo e si fiondava sopra la rete, massa per
accelerazione compresa. Ma non si faceva mai male e sculettava felice,
abbaiando per la gioia (lo sculettare è una caratteristica tipica dei Pastori
dello Zen, dei maschi soprattutto!).
Quando la ragazza dagli occhi verdi, sempre
più furenti, vide il suo uomo tornare dalle rocce a mani vuote, gli si scagliò
contro com’era solita fare ogni qualvolta non riusciva ad ottenere ciò che
desiderava.
Chiese se avesse controllato bene e se avesse chiamato, urlato, sino a perdere la voce, il nome del Cucciolo. Ma era quasi certa che non si sarebbe fidata della sua risposta. L’urgenza del momento, in ogni caso, non le consentiva di strigliarlo a sufficienza né di impiantare alcuna delle loro consuete discussioni.
Dietro le rocce non c’era nessun cane. Se così era (il dubbio, in fondo, le era rimasto, ma non poteva far altro che fidarsi della sua parola), allora i cuccioli dovevano essere da qualche altra parte, dentro quella infinita proprietà.
Chiese se avesse controllato bene e se avesse chiamato, urlato, sino a perdere la voce, il nome del Cucciolo. Ma era quasi certa che non si sarebbe fidata della sua risposta. L’urgenza del momento, in ogni caso, non le consentiva di strigliarlo a sufficienza né di impiantare alcuna delle loro consuete discussioni.
Dietro le rocce non c’era nessun cane. Se così era (il dubbio, in fondo, le era rimasto, ma non poteva far altro che fidarsi della sua parola), allora i cuccioli dovevano essere da qualche altra parte, dentro quella infinita proprietà.
Sapeva che al centro del terreno c’era una
villa antica che, però, non era mai riuscita a vedere, tanto era distante dalla
strada. Bisognava arrivare sin là sotto e togliersi ogni dubbio,
definitivamente. Era quasi certa che, nonostante tutto, ma solamente nel
proprio interesse, quell’uomo malvagio avesse procurato ai cani delle cucce o
quanto meno un luogo dove ripararsi dalla pioggia. E dove, se non dentro una
vecchia casa abbandonata, risparmiando pure su questo fronte?
Si, sicuramente i cani erano là, nel rudere. Era già buio, stavano male, avevano fame, avevano bisogno di lei… stava fremendo dalla rabbia e dalla paura di essere giunta troppo in ritardo.
Si, sicuramente i cani erano là, nel rudere. Era già buio, stavano male, avevano fame, avevano bisogno di lei… stava fremendo dalla rabbia e dalla paura di essere giunta troppo in ritardo.
“Vai
alla villa e controlla bene, benissimo… non tornare se non hai guardato
ovunque. Non ti succederà nulla e se incontri qualcuno digli che io sono andata
a chiamare i Carabinieri…”
“Tu
sei pazza!”
Le urlò il suo uomo, fermamente deciso, per
quella volta, a non obbedirle. Dalla cima del muro spiccò un balzo giù sul marciapiede e fu finalmente fuori dall'incubo. Almeno per il momento…
“I
Carabinieri arrestano me, se mi trovano dentro una proprietà privata e senza permesso!
Piuttosto, andiamoci insieme in Caserma, anche se io comunque non credo che…”
Nel frattempo lei era già salita in
macchina, ma non aveva alcuna intenzione di rivolgersi alle Forze dell’Ordine.
Non intendendo andar via a mani vuote, fece il giro della proprietà sino a che
non si trovò di fronte al cancello scardinato e arrugginito dell’ingresso
principale, quello originario, l’unico attraverso il quale si sarebbe potuto
accedere al terreno con un mezzo su ruote. Ovviamente era chiuso col lucchetto.
Quel lucchetto però era nuovo e quasi luccicante, segno che da lì qualcuno era
passato di recente. Poteva essere la luna giusta, quella in cui la bestia umana
andava a controllare le sue vittime. Non c’era altro da fare che aspettare,
quel giorno e anche i giorni seguenti, prima o poi l’avrebbe beccato e
l’avrebbe costretto a dirle dov’erano finiti i suoi cuccioli.
Così spense i fari della sua Fiat Uno sgangherata
e sporca, dentro e fuori, e tentò di fare mente locale sulle sue prossime
azioni.
Con quell’automobile conciata male e impresentabile era certa che non avrebbe dato nell’occhio. La presenza del suo uomo poteva esserle utile affinché tutti pensassero ad una coppietta imboscata. Anche per questo, dopo i primi metri, si era fermata e l’aveva aspettato per farlo salire in macchina. Ora però lui doveva stare al gioco e aspettare, anche tutta la notte.
Non conosceva gli orari dell’uomo della luna, ma poiché la luna quel giorno si faceva desiderare potevano entrambi dire addio alla cena. Di cellulari a quei tempi non se ne parlava e quindi neanche i suoi genitori erano stati avvertiti. Pazienza, avrebbero capito.
Con quell’automobile conciata male e impresentabile era certa che non avrebbe dato nell’occhio. La presenza del suo uomo poteva esserle utile affinché tutti pensassero ad una coppietta imboscata. Anche per questo, dopo i primi metri, si era fermata e l’aveva aspettato per farlo salire in macchina. Ora però lui doveva stare al gioco e aspettare, anche tutta la notte.
Non conosceva gli orari dell’uomo della luna, ma poiché la luna quel giorno si faceva desiderare potevano entrambi dire addio alla cena. Di cellulari a quei tempi non se ne parlava e quindi neanche i suoi genitori erano stati avvertiti. Pazienza, avrebbero capito.
Lui si era illuso. Pensò che quella lunga e
forse vana attesa gli avrebbe almeno regalato un breve ma intenso momento
d’amore con la sua bella ragazza dagli occhi verdi, che in quel frangente gli
sembrarono ancora più verdi (di passione no, non ci aveva pensato minimamente,
conoscendola).
Ma lei era verde di rabbia, non faceva altro che parlare di quei
poveri cani, accusando sé stessa di superficialità. Quei
giorni preziosi che aveva fatto trascorrere senza provare seriamente a contattare la bestia umana, l’uomo della
luna, quel procacciatore di morte per cani!
Non solamente Cucciolo-Geo, ma
anche i suoi fratelli non le erano sembrati un granché ultimamente. Non
crescevano bene, anzi erano piuttosto magri, il loro naso non era più lucido,
non mangiavano con appetito. Se fosse dipeso da lei, li avrebbe
portati subito dal veterinario. Anzi, prima ancora di qualsiasi altro brutto
sintomo, li avrebbe fatti vaccinare proprio per evitare il peggio. Almeno di
questo non poteva incolparsi. La rete, l’ostracismo dell’uomo e l’ottusità
della legge glielo avevano impedito. Ma a quegli ultimi segnali negativi sullo
stato di salute dei cuccioli avrebbe potuto rispondere anzitempo. Se non altro facendo
quello che aveva appena fatto.
Nella vita le decisioni bisognava avere il
coraggio di prenderle prima che il danno fosse compiuto, e non dopo. Prima che
fosse tardi, troppo tardi. E lei non l’aveva fatto. Ma neanche lui, il suo
uomo, il suo futuro compagno di vita, colui il quale era deputato a compensare
i suoi difetti e a sorreggerla nel bisogno. Se fosse finita male, non se lo
sarebbe perdonata. E nemmeno a lui.
L’uomo della luna spuntò alle due della
notte.
Non era vecchio come lei si aspettava. Anzi, era piuttosto giovane, forse
aveva la sua stessa età o poco più. Ma era vecchio nei modi rudi e nella voce
rauca. Era grasso e camminava senza casco con una Vespa 200 automatica, nuova
di zecca. Forse rubata, pensò d'istinto.
Quando questi si avvicinò al cancello per aprire
il lucchetto, la ragazza uscì di corsa sbattendo lo sportello della macchina e
lasciando indietro il suo compagno.
L’uomo della luna la guardò impassibile e non proferì parola. Lasciò a lei la precedenza.
Ma fra i due non poteva esserci dialogo alcuno.
Lui stentava a capirla e mentre la ragazza, in italiano, provava ad esprimere le sue ragioni, lui continuava a massaggiarsi l’enorme pancia che gli faceva capolino da sotto una risicata maglietta della squadra del Palermo Calcio.
Lei, che non sapeva spiccicare una parola in dialetto palermitano, continuava a insistere per entrare a vedere come stessero i cuccioli. Alla fine, l'uomo della luna le fece un sorriso amaro e, in silenzio, aprì solo metà cancello, entrò con la sua Vespa e glielo richiuse in faccia. Serrandolo con il catenaccio.
L’uomo della luna la guardò impassibile e non proferì parola. Lasciò a lei la precedenza.
Ma fra i due non poteva esserci dialogo alcuno.
Lui stentava a capirla e mentre la ragazza, in italiano, provava ad esprimere le sue ragioni, lui continuava a massaggiarsi l’enorme pancia che gli faceva capolino da sotto una risicata maglietta della squadra del Palermo Calcio.
Lei, che non sapeva spiccicare una parola in dialetto palermitano, continuava a insistere per entrare a vedere come stessero i cuccioli. Alla fine, l'uomo della luna le fece un sorriso amaro e, in silenzio, aprì solo metà cancello, entrò con la sua Vespa e glielo richiuse in faccia. Serrandolo con il catenaccio.
A quel punto lei iniziò a urlare come una forsennata frasi del
tono “io ti sto andando a denunciare, sei un assassino, ora chiamo i
Carabinieri, da qua non mi muovo fino a quando non mi fai vedere i cuccioli” e
così via... mentre la Vespa si allontanava a luci spente lungo il polveroso viale
di palme che conduceva al cuore di quella proprietà. E scomparve.
Poi, dopo una decina di minuti, si sentì
chiaramente il rombo del motore che si avvicinava di nuovo al cancello, da dove
ovviamente lei non si era mossa di un centimetro.
La targa l’aveva presa (per
quanto avesse poche speranze che non fosse falsa), ma voleva minacciarlo ancora
una volta, non poteva passarla liscia in quel modo.
Senza spegnere il motore, il ragazzo-uomo
della luna scese dalla Vespa, si abbassò sulla pedana anteriore e sollevò un
pacco scuro. Un sacco dell’immondizia, pensò lei. Poi si avvicinò al cancello e
con un solo gesto lo lanciò in alto, oltre le sbarre, facendoglielo cadere con
un tonfo sordo e cupo proprio ai suoi piedi. A quel punto si avvicinò al
cancello e senza scomporsi le sussurrò:
“pigghiatillo
tu, s’iddu u voi! ‘Sta cosa morta a mia ‘un mi servi cchiù”
Risalì tranquillo sulla Vespa e, sempre a
luci spente, ritornò sui suoi passi.
Gli occhi verdi e atterriti della ragazza si fissarono su quella massa nera informe per un tempo indefinito...
Poi, da quei bei fari immensi colore smeraldo
cominciarono a scendere tante lacrime silenziose. Il suo giovane e caro amico,
il suo cucciolo, era morto…
...
Cucciolo Geo aspettava sempre con ansia
l’arrivo della bimba grande dagli occhi verdi, anche se, da qualche giorno, non
riusciva più a divertirsi come prima nell’andarle incontro. Non aveva la forza
di correre, sentiva dolore alla pancia e vomitava di continuo. Ma queste cose a
lei non gliele aveva mai fatte vedere, si vergognava.
E gli sembrava pure male
non accettare i regalini che ogni sera la sua amica gli porgeva attraverso la
rete. Tutti quei croccanti biscottini che, per la verità, a lui nemmeno
piacevano tanto. Non era mai stato un grande mangiatore e ultimamente la fame
gli era sparita del tutto. Per amor suo li prendeva in bocca e li ingoiava
quasi interi, non tutti però.
“Tutti
non posso proprio farcela, bimba grande! Ma… perché invece di darmi sempre
pappa non mi porti un po’ in giro? Me l’avevi promesso, una volta. Mi avevi
detto che mi avresti portato dal mio papà, nel lungo viale grigio che passa da
qui. Ma… che fai?
Anche oggi vai via senza di me?...
E va bene, niente ci fa!
Domani quando vieni mi farò trovare pronto, dietro la rete, nel solito
angolino. E tu mi porti via.
Solo per il pomeriggio, poi voglio tornare dalla
mamma, non posso lasciarla da sola”
...
Senza che ancora nessuno se ne fosse reso
conto in quei giorni si stava espandendo a macchia d’olio una grave epidemia di
parvovirus. Il quartiere dove stava Geo con i suoi tanti compagni di sventura,
lo Zen, ne era completamente infetto. Decine di cani, cuccioli per la maggior
parte, morivano disidratati per la diarrea e il vomito. Nessuno si curava di
loro, dei cani randagi, a nessuno interessava il motivo della loro scomparsa.
Il virus si diffondeva per contatto e tutto costituiva un facile veicolo alla
sua trasmissione. Cani, oggetti, persone, animali. Difficilmente se non
vaccinati i cuccioli di quella zona riuscivano a sopravvivere alla
gastroenterite virale e in una
settimana o poco più, a volte in pochi giorni, morivano stecchiti e nelle
sofferenze più atroci. E nel silenzio, perché non erano in grado chiedere
aiuto.
L’uomo-ragazzo della luna aveva capito che
le sue bestie stavano male, per lui era una perdita economica notevole, ma
curarli gli sarebbe costato di più che lasciarli morire. In fondo non aveva
investito alcun capitale per loro. Solo la madre di Geo gli era costata
parecchio! Un biglietto per Palermo Juventus del 6 febbraio del 2005. La sua
squadra era tornata da poco in serie A e lui aveva dovuto rinunciare alla
partita del cuore per quella maledetta cagna. La domenica sera, dopo l’ 1-0
per il Palermo, per la rabbia si era sfogato sulla povera bestia. Ma di
quell’acquisto in seguito non se ne sarebbe mai pentito, alla luce degli esemplari
che gli sfornò ogni sei mesi ‘quella vacca’, così come usava rivolgersi quando
parlava della sua migliore fattrice.
In ogni caso, da quand’aveva intuito la mala
sorte della cucciolata di Geo, li aveva separati dalla madre e dagli altri del
branco, per evitare inutili contagi. Aveva chiuso la recinzione interna della
villa e li aveva abbandonati a loro stessi nel terreno circostante, senza cibo
né acqua, tanto ormai erano spacciati e prima morivano meglio era per tutti.
Quella sera, quando la ragazza gli chiese del Cucciolo-Geo e dei suoi fratelli,
gli tornarono alla mente, era giorni che non ci pensava più. Chissà se erano
già morti.
Come poteva farla tacere ed evitare che andasse alla Polizia? Quella
voleva vederli, almeno uno, il più grosso di tutti. Quel maschio con cui lui
aveva sperato di fare tanti soldi. Fortunatamente era il più malandato, molto probabilmente era già morto prima degli altri, forse se glielo
consegnava si sarebbe calmata e se ne sarebbe andata dal cancello. Stava attirando
troppa attenzione, se fosse passata una pattuglia in quel momento…
Così andò a
cercare le bestie malate nel giardino retrostante la villa e non gli fu
difficile trovarle.
Erano tutti e quattro riversi per terra,
secchi come chiodi, sporchi di escrementi e di vomito, ma non erano ancora
morti. Vuoi vedere, pensò, che sarebbero pure sopravvissuti a quello schifo? Solo uno, e
paradossalmente quello che sembrava il più forte di tutti, gli parve arrivato
al traguardo. Quello scemo di un Cucciolo aveva smesso di sculettare per sempre.
“È andato il bastardo, porca miseria a lui”
Lo infilò di peso (ormai non doveva superare
i dieci, dodici chili, pelle e ossa comprese) nell’enorme sacco nero già pieno
di porcherie e lo caricò sulla Vespa. Poi lo gettò alla ragazza, oltre il
cancello. Che la seppellisse lei quella carogna, se proprio ci teneva.
Non gli passava per la testa l’idea,
all’uomo-ragazzo della luna, che per qualcuno i cani potessero valere molto di
più di quei cento, duecento euro che avrebbe potuto fare, rivendendoli come
sparring partner. Per lui era impossibile comprendere le ragioni della ragazza
dagli occhi verdi, sprecare il proprio tempo e peggio il proprio denaro per
‘salvare’ dei cani che comunque sarebbero morti, o in combattimento o, ben che gli fosse andata, schiacciati da una macchina.
Salvarli? E da che? Almeno lui li faceva combattere da veri eroi. Lui dava un senso alla loro esistenza. E se poi ce l’avessero fatta? Se avesse cresciuto almeno un campione fra i tanti bastardi del cavolo, che comunque aveva levato dalla strada?
Salvarli? E da che? Almeno lui li faceva combattere da veri eroi. Lui dava un senso alla loro esistenza. E se poi ce l’avessero fatta? Se avesse cresciuto almeno un campione fra i tanti bastardi del cavolo, che comunque aveva levato dalla strada?
Lui, l’uomo-ragazzo della
luna, non pensava di fare del male a nessuno con quel suo ‘lavoro’. Anzi! Se il
randagismo era un problema per la gente, lui contribuiva a risolverlo. E che
non gli parlassero di violenza! Cosa voleva dire violenza o maltrattamento nei
confronti degli animali?
Sin da bambino aveva dovuto imparare a difendersi dai calci del padre, dalle violenze dei fratelli maggiori, da ogni genere di abuso che aveva subito dentro e fuori le mura di casa. Di casa sua. Non poteva mai immaginarsi un mondo diverso da quello, dove per sopravvivere doveva fare come gli altri. Dare calci a un cane era un gioco che aveva imparato sul marciapiede, da bambino. Questa era la sua realtà, una realtà di ignoranza e abbandono che non gli consentiva di conoscerne altre, differenti o migliori della sua.
Sin da bambino aveva dovuto imparare a difendersi dai calci del padre, dalle violenze dei fratelli maggiori, da ogni genere di abuso che aveva subito dentro e fuori le mura di casa. Di casa sua. Non poteva mai immaginarsi un mondo diverso da quello, dove per sopravvivere doveva fare come gli altri. Dare calci a un cane era un gioco che aveva imparato sul marciapiede, da bambino. Questa era la sua realtà, una realtà di ignoranza e abbandono che non gli consentiva di conoscerne altre, differenti o migliori della sua.
...
“Se
guardo fisso gli scatoloni gialli non mi perdo. Se li guardo poi ritrovo la mia
mamma. Non la vedo più da tanto tempo, chissà dove mi hanno portato. Non c’è
nessuno qua, ma io non ho paura. Adesso mi addormento, mi riposo un pochino,
non mi sento tanto bene… poi quando mi sveglio torno a casa… basta che guardo
gli scatoloni gialli pieni di buchi e la mamma sta la sotto, che mi aspetta…”
...
Il Cucciolo-Geo si era addormentato con gli
occhi aperti… ma non era ancora morto…
Non si era accorto di niente, era sfinito,
spossato, a un passo definitivo dal peggio, dall’irreparabile, ma era ancora
vivo… il suo sguardo perso nel vuoto ingannò l’uomo-ragazzo della luna il quale,
nel buio di quella notte avida di stelle, l’aveva preso per morto stecchito. E
quello sguardo perso nel vuoto, lo stesso sguardo in cui ancora oggi il nostro
Geo spesso si abbandona, è stato lo sguardo che lo ha salvato dalla fine triste
e dolorosa che hanno fatto, molto probabilmente, ma non lo sappiamo per certo,
i suoi tre poveri fratelli.
Quella sera infatti la ragazza dagli occhi
verdi chiese, urlò, maledisse l’uomo della luna affinché le desse i cadaveri di
tutti gli altri cuccioli, ma inutilmente. E dovette allontanarsi dopo che
l’uomo-ragazzo la minacciò quasi con la forza. L’unica sua speranza, l’unico
motivo per cui riuscì a dormire un paio d’ore quella notte fu che il suo
piccolo amico non era ancora morto, no!
Dopo che quella bestia disumana le aveva
lanciato il sacco, dopo aver pianto lacrime amare, dopo aver chiesto e urlato
invano per sapere cosa stesse succedendo agli altri cani… dopo quegli
interminabili momenti, si decise ad aprire … doveva farlo lei, lei era la
responsabile di quella morte, e nessun altro… delicatamente, per rispetto, per
amore, slacciò quel filo trasparente con cui era avvolto quel pacco informe.
E come temeva dentro c'era il suo cucciolo.
L'abbracciò, lo guardò ancora una volta ma, mentre stava per chiudergli gli occhi, quello sguardo spento, lo stesso che aveva ingannato il nemico, all’improvviso scomparve.
Le palpebre del Cucciolo si mossero, per una frazione di secondo i suoi occhi si immersero nel verde generoso e caldo degli occhi di lei e poi si chiusero spontaneamente, i lineamenti irrigiditi parvero distendersi. Forse gli occhi verdi della bimba grande lo fecero tornare in sé, forse capì che poteva finalmente rilassarsi e che l’aver guardato fisso gli scatoloni gialli, in fondo, gli era stato utile. Alla fine era riuscito a ritornare dalla sua dolce mamma.
L'abbracciò, lo guardò ancora una volta ma, mentre stava per chiudergli gli occhi, quello sguardo spento, lo stesso che aveva ingannato il nemico, all’improvviso scomparve.
Le palpebre del Cucciolo si mossero, per una frazione di secondo i suoi occhi si immersero nel verde generoso e caldo degli occhi di lei e poi si chiusero spontaneamente, i lineamenti irrigiditi parvero distendersi. Forse gli occhi verdi della bimba grande lo fecero tornare in sé, forse capì che poteva finalmente rilassarsi e che l’aver guardato fisso gli scatoloni gialli, in fondo, gli era stato utile. Alla fine era riuscito a ritornare dalla sua dolce mamma.
C’era solo un veterinario che faceva
servizio notturno quella sera. Era il più caro e lei non sapeva se sarebbe
riuscita a pagarlo, ma ci andò di corsa. La diagnosi era chiara e le
probabilità di sopravvivenza quasi nulle. Ma Cucciolo-Geo era ancora vivo.
Era un cane forte e ce l’avrebbe fatta.
Era un cane forte e ce l’avrebbe fatta.
L’indomani riuscì a convincere un amico dell’Arma,
un giovane carabiniere, che dentro quel terreno abbandonato succedevano cose
strane e contro la legge e, con il quasi cadavere del cucciolo come prova, il militare
accettò di chiedere all’uomo-ragazzo della luna di fargli dare un’occhiata alla
villa.
Non servì a nulla, ovviamente.
C’erano solo cani che, per quello che
l’inesperto carabiniere poteva capire, tutto sommato erano in buona salute. Si, forse non proprio ben pasciuti ma sani, con ciotole piene d’acqua e pane duro.
Di cuccioli neanche l’ombra. Dietro la villa c’erano pure delle galline dentro
un pollaio e un orto pieno di pomodori e melanzane.
Ufficialmente l’uomo-ragazzo della luna era il guardiano del terreno, villa e giardini, tutto compreso. Aveva le chiavi e coltivava qualcosa per la sua famiglia. I cani gli servivano per fare la guardia a quelle sue poche ricchezze. Che male faceva dunque? Qual’ era il reato per il quale sarebbe stato accusato dalla ragazza?
Ufficialmente l’uomo-ragazzo della luna era il guardiano del terreno, villa e giardini, tutto compreso. Aveva le chiavi e coltivava qualcosa per la sua famiglia. I cani gli servivano per fare la guardia a quelle sue poche ricchezze. Che male faceva dunque? Qual’ era il reato per il quale sarebbe stato accusato dalla ragazza?
...
Che fine abbiano fatto i fratelli e la madre
di Geo, noi non lo sappiamo.
Se siano morti di gastroenterite, scannati da un
loro simile durante un combattimento o seviziati da balordi di strada… Noi non
lo sappiamo…
Geo si è salvato… Ma da cosa?
Da tutto questo, si può tranquillamente affermare. Si, è vero, dalle mille atrocità che l’uomo sa compiere e compie quotidianamente nei confronti dei più deboli, siano essi cani, gatti, animali in genere o suoi simili.
Da tutto questo, si può tranquillamente affermare. Si, è vero, dalle mille atrocità che l’uomo sa compiere e compie quotidianamente nei confronti dei più deboli, siano essi cani, gatti, animali in genere o suoi simili.
Quindi Geo è stato salvato per
mani dell’uomo dal male che un altro uomo gli stava facendo. Ma se l’uomo in
genere non disponesse degli animali come fa di tutto il resto, oggi Geo forse sarebbe
un cane libero, forse sarebbe morto per una malattia o per un incidente… o
forse no.
Togliere Geo dalle mani di quel degenerato è
stato un bene. È stato giusto.
Io però so solamente che, nonostante siano
già passati dieci anni, il nostro cane non ha mai smesso di guardare verso
Nord, verso i palazzi dello Zen che da qua, però, non si vedono.
Geo cerca ancora la strada lunga e il marciapiede grigio, dove sognava di vivere da grande.
Geo non è felice dentro questo nostro piccolo giardino né, peggio, quando è chiuso in casa con noi.
Lui sorride e sculetta sempre nel vederci e fa festa a tutti i nostri ospiti, ma subito dopo si allontana e il suo sguardo si spegne, come quando si stava per addormentare per sempre. Si illumina solamente quando suo padre, il suo padre umano, prende il guinzaglio e lo porta con sé sul marciapiede. Là Geo ritorna il cucciolo che era e che è sempre rimasto, e tira forte verso Nord, verso casa sua, verso quel terreno che ormai non esiste più.
Geo cerca ancora la strada lunga e il marciapiede grigio, dove sognava di vivere da grande.
Geo non è felice dentro questo nostro piccolo giardino né, peggio, quando è chiuso in casa con noi.
Lui sorride e sculetta sempre nel vederci e fa festa a tutti i nostri ospiti, ma subito dopo si allontana e il suo sguardo si spegne, come quando si stava per addormentare per sempre. Si illumina solamente quando suo padre, il suo padre umano, prende il guinzaglio e lo porta con sé sul marciapiede. Là Geo ritorna il cucciolo che era e che è sempre rimasto, e tira forte verso Nord, verso casa sua, verso quel terreno che ormai non esiste più.
...Geo è vecchio, ma non si stancherà mai di cercare con lo sguardo i suoi amati scatoloni gialli... |
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Giggia, il mio spirito libero |
la regina Gelsomina |
un uomo e un cane |
Mitico Cane Geo, bello, intelligente e di carattere ...!!! Quando scodinzoli sembri una ballerina ma quando ululi nessuno ti può eguagliare ! Tutto si ferma, gli uccelli smettono di cinguettare, gli umani interrompono qualsiasi azione, anche le foglie mosse dal vento si immobilizzano. Solo il tuo ipnotico canto si eleva nell'aria come una magia e nell'aria si diffonde lieve come una brezza ! Al suo termine, lentamente, tutto ricomincia arricchito dalla tua musica !
RispondiEliminaHo letto a Geo le tue parole, caro anonimo, e lui ha risposto che "nessuno mi aveva mai dedicato una poesia! uuuuuuuuuuuuu...... come mi piace!!! " .... grazie!
EliminaBellissima e commovente storia.
RispondiEliminaBrava Principessa della contaminazione!!!