l'uomo di Neanderthal è tornato nella sua valle |
Mentre noi, che riteniamo la nostra realtà un mito, aspettiamo che il mondo si accorga dei nostri opulenti siti archeologici abbandonati a sé stessi, là dove di reale non c'è quasi nulla è proprio il mito a diventare concreto, visibile e attraente (oltre 170.000 visitatori all'anno che pagano 11 euro a persona, tanto per voler essere materiali)! Quando ci sveglieremo dunque?
Questo di oggi è un altro museo del sito, di un sito archeologico che di archeologico ha ben poco o quasi nulla, ma nella nostra memoria storica e culturale il suo valore va oltre la materia in sé stessa.
Quando si parla di Neanderthal infatti il richiamo alla memoria va ben
oltre i seppur complessi significati contenuti nel termine di “sito
archeologico”: il suo valore antropico non deriva tanto dalla presenza di
artefatti, dei quali è sprovvisto del tutto, quanto dal significato altamente simbolico che esso ha assunto nel
tempo. Dal 1859, infatti, il suo nome è entrato a pieno titolo nella storia
dell’evoluzione delle specie, incarnando il nuovo mito dell’uomo protagonista
indiscusso del progresso dell’umanità.
Più di ogni altro luogo questa valle,
attraversata dal fiume Düssel e condivisa dalle città di Mettmann, Düsseldorf e
Wuppertal, è densa di significati che trascendono la sua fisicità, peraltro
mutilata nella sua originaria immagine, espressione altissima di quella
intangibile dimensione dei siti archeologici tutelata dalle ultime iniziative
UNESCO, ICOM ed ICOMOS. Qui la “materia” ritrovata non costituisce il reale
valore del sito, anzi, non è mai stata tanto importante quanto il suo apporto
di nuovi significati, sottesi all’innato bisogno di conoscenza della civiltà
umana.
Negli anni in cui Charles Darwin rivoluzionava la storia ed il futuro
dell’uomo, esponendo le sue teorie evoluzionistiche ne “L’origine delle specie
per selezione naturale” (1856), presso la cava di pietra calcarea di Feldhof,
nella valle della Ruhr, apparivano casualmente i resti della calotta cranica e
di varie ossa di un antichissimo scheletro umano.
Rispetto all’ancora
sconosciuto uomo del Paleolitico inferiore, vissuto ben 1.800.000 anni fa,
quelle strane ossa, tozze e robuste, attestarono il primitivo aspetto fisico di
quello che venne considerato il primo uomo della storia, tanto che ancora
adesso gli ottanta ominidi, appartenenti all’ormai noto gruppo dei paleontropi,
vissuti tra i 75.000 ed i 35.000 anni addietro (e quindi molto più 'giovani' dei loro antenati del periodo inferiore), vengono chiamati Uomini di
Neanderthal.
La cava di Feldhof in realtà oggi non esiste più: l’estrazione del
calcare, continuata negli anni nonostante l’eccezionalità dell’evento, ha
modificato radicalmente il paesaggio circostante, imponendo una trasformazione
antropica che ne ha mutato l’aspetto selvaggio mantenutosi sino all’epoca del
ritrovamento.
la valle prima del nuovo museo |
La sempre più pressante sensibilità verso la tutela dell’ambiente
ed il riconoscimento dell’aura di sacralità del luogo, nel ventennio scorso
hanno determinato la chiusura della cava e la decisione di tutelare il
paesaggio dell’intera valle. Il passo successivo, compiuto dalla Stiftung Neanderthal Museum di Mettmann,
è poi culminato nella volontà di recuperare i valori del sito attraverso un
“medium” reale e metaforico, leit motiv del progetto di concorso vinto in
seconda istanza, nel 1993, dal gruppo di Düsseldorf (il museo è stato costruito nel 1996 dagli architetti Günter Zamp Kelp, Julius Krauss e Arno Brandlhuber).
la valle oggi, con le tracce simboliche della presenza umana |
Si voleva consolidare
l’interesse del pubblico, confermato dal numero di visite sempre più crescente,
per il luogo in cui furono ritrovati i resti preistorici, ampliando l’offerta
fruitiva dell’ormai inadeguato piccolo edificio in muratura, destinato a museo
e demolito in occasione dei nuovi lavori.
l'affaccio verso il panorama del nuovo museo |
la scala centrale, cuore del museo, culmina nella caffetteria! da qui si guarda la valle di Neanderthal |
Il luogo, ancora più palesemente “luogo del mito” e giammai area di scavo archeologico, si è riappropriato di un’immagine più autentica dopo le ultime indagini, che dal 1997 al 2000 hanno fornito le indicazioni per ridisegnarne un profilo paesaggistico, culminato nel progetto degli architetti Cornelia Müller e Jan Wehberg.
Nella presentazione del sito, parziali riproposizioni botaniche si confrontano con l’uso determinato della parola, dalle iscrizioni in massicce croci litiche, al supporto di un sistema audio distribuito in situ. Lo spazio esterno diventa quindi occasione di alternanza narrativa, tradotta nei differenti linguaggi dell’arte e della natura assieme. Secondo il MenschenSpuren Project, infatti, undici artisti hanno posto alcune personali riflessioni sul rapporto fra uomo e natura, sotto forma di “installazioni” open air, più o meno integrate con il paesaggio.
Il percorso ascensionale del museo conduce alla caffetteria, posta strategicamente al termine della “spirale cognitiva” e rivolta verso il luogo dei famosi ritrovamenti, attraverso l’unica finestra dell’edificio. Ironia intenzionale, dunque, che pone ancora una volta il visitatore sul piano della consapevolezza e della criticità, e quindi dell’autonomia di pensiero.
Per rispondere al prestigioso
programma museale, la narrazione storica sfrutta l’approccio inevitabilmente
cronologico del “Time Tunnel” (che abbraccia un arco temporale piuttosto ampio,
dalle prime tracce di vita umana in Africa alla città contemporanea) per
suscitare parallelamente nel visitatore
un bisogno di conoscenza sempre maggiore: sapere da dove si proviene non può
che servire alla conoscenza del presente ed alla consapevolezza del futuro che
si sta costruendo. Questo è il vero significato, dichiarato espressamente dalla
Direzione, che sovrintende all’esistenza stessa del Museo: il percorso è quindi
attraversato trasversalmente da cinque temi strategici...
vita e sopravvivenza,
tecnologia e conoscenza, miti e religioni, ambiente e nutrizione, linguaggio e
comunicazione.
siamo quel che mangiamo.. e che mangiavamo! |
l'ultima ricostruzione 'intelligente' dell'uomo di Neanderthal (dal sito Focus.it) |
La fluidità dello spazio concepito dall'architetto Kemp è funzionale
all’esigenza di questa comunicazione visiva e continua fra gli ambienti
espositivi, caratterizzati dalla forza degli allestimenti multimediali: la
scenografia, realizzata dalla Créa-muse di Strasburgo, propone esperienze
visuali, auditive, tattili, insieme a scene iper realistiche, con ricostruzioni
plastiche di uomini preistorici (con maggiore enfasi per l’Uomo di Neanderthal,
per cui ci si è avvalsi dei metodi utilizzati in medicina legale), diorami,
pannelli interattivi, suggestivi elementi megalitici che inquadrano vedute su
panorami preistorici e quant’altro di accattivante suggerisce la moderna
museografia.
la scala come metafora della conoscenza |
ricostruzioni della vegetazione e della fauna |
L’approccio narrativo e scenografico fa un passo indietro di
fronte all’esigenza di una esposizione più scientifica dei “veri” oggetti del
Museo, i circa duecento reperti preistorici, conservati dentro vetrine
tradizionali ed esposti al primo dei quattro livelli espositivi, dedicato a “La
Valle ed i suoi segreti”.
gli oggetti e a cosa servivano, senza parole, ma con i disegni |
Il messaggio
originario del progettista coincide ancora perfettamente con i significati che
traspaiono dalle molte attività del Museo: comunicare la storia con ironia e
con slancio verso ogni possibile nuova interpretazione, significa anche
proiettare nel presente le infinite opportunità che essa ci offre.
il racconto della vita degli uomini paleolitici avviene anche attraverso altri siti archeologici... |
e altre collezioni (ricostruite) |
inducendo alla scoperta personale, con lo scrigno del ricercatore |
* testi di proprietà personale
immagini di proprietà del Neanderthal Museum Mettman
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