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venerdì 27 marzo 2015

a 'frittedda' (la frittella) palermitana




Così si dice, anche se letteralmente non si po' tradurre in frittella, perché non ha nulla a che vedere con la frittura … è un piatto della tradizione culinaria siciliana e palermitana in modo particolare. E' leggerissimo e ricco di sapori primaverili, tutto vegetariano, e che si presta bene sia come antipasto (specie se in agrodolce, sublime!), sia come contorno (anche se secondo me sarebbe sprecato, è troppo completo per adattarsi ad essere un semplice contorno) ma soprattutto come condimento per un estasiante piatto di pasta (date un'occhiata a questi 'spaghetti ca frittedda' e poi mi dite!).
La 'frittedda' si mangia solo in primavera e poi basta, non fatela con le verdure surgelate (tranne i pisellini, quelli io li uso ‘esclusivamente’ surgelati!). Perché le fave devono essere tenere tenere e raccolte da poco, i carciofi al tatto devono essere duri, al palato carnosi e privi di peluria, la cosiddetta barbetta. E poi devono avere le spine! Qua da noi le fave sono apparse già da un paio di settimane, anche se io ho resistito a comprarle, aspettavo che crescessero le nostre (l'orto di bimbapimba è sempre un po' in ritardo rispetto alla produzione locale)... ma siccome mi sono stancata di attendere (sono certa che mangerò fave sino a giugno, come l'anno scorso... e questo devo dire che ha rappresentato per noi un bel privilegio) ieri le ho comprate ed ora eccole qua, pronte per esser mangiate!
La ricetta si offre a due interpretazioni: molti la intendono esclusivamente nella versione agrodolce, con l’aceto e lo zucchero, e quindi da mangiare fredda (si conserva per due giorni in frigorifero tranquillamente). Ma rientra nella tradizione di altrettante famiglie  lasciarne la metà (se non tutta) senza aceto né zucchero, arricchita con una bella spolverata di prezzemolo e pepe nero (qualcuno la menta, non noi)… e in questo caso si può mangiare calda calda o tiepida… oppure, come vi accennavo sopra, può costituire un ottimo condimento per un primo piatto, con l'aggiunta di un poco di ricotta di pecora e del finocchietto selvatico. 
Ingredienti per quattro/cinque persone: un chilo di fave fresche (che sbucciate diventeranno circa 300 g o poco più), 320 g di pisellini primavera (i più teneri che trovate. Stesso peso sbucciato delle fave, praticamente), tre carciofi con le spine, belli grossi, un cipollotto scalogno grosso o altrimenti due piccoli, una manciata di prezzemolo. P.S. Se la fate in agrodolce, aggiungete alla fine (ancora a caldo, sul fuoco) un cucchiaio di aceto e mezzo di zucchero (disciolto precedentemente nell’aceto). Fate evaporare l’alcool e spegnete. Ma mangiatela ben fredda però!
Procedimento: mondate i carciofi (come al solito, togliete tutte le foglie dure esterne sino a giungere al cuore, poi tagliate la punta delle foglie, più o meno a metà altezza delle stesse, infine tagliateli a metà per il senso della lunghezza, togliete la barbetta e affettate, in questo caso ogni metà tagliatela in tre spicchi), tagliateli come suggerito prima e lasciateli in acqua e limone affinché non anneriscano troppo. Tagliate a rondelle molto sottili lo scalogno. Mettete un pentolino di acqua salata sul fuoco e quando bolle gettatevi i carciofi precedentemente sciacquati, per una trentina di secondi. Serve a fargli riprendere il colore verde. Poi sgocciolateli con una schiumarola e versateli in un tegame, dove avrete soffritto in acqua e olio evo il cipollotto. Fateli rosolare per cinque minuti (eventualmente aggiungendo un cucchiaio di acqua calda). 



Aggiungete i pisellini e  le fave (se sono molto piccole aspettate qualche minuto prima di versarle nel tegame, perché cucinano velocemente. Altrimenti inseritele assieme ai pisellini). Rosolate per qualche minutino, girando spesso. Poi salate e pepate, aggiungete qualche cucchiaio di acqua calda (poca, le verdure non devono nuotare nel liquido se non in quello che rilasciano loro stesse) e abbassate la fiamma. Coprite e lasciate cuocere per una ventina di minuti. Girate spesso, ma evitando se possibile il cucchiaio, bensì agitate il tegame in modo che le verdure si mescolino. Usate un cucchiaio di legno quando necessario. Aggiustate di sale (non mi stancherò mai di dire che bisogna assaggiare spesso durante la cottura, non pensate di mettere il sale tutto prima, potreste eccedere ma, anche, pensare di averne messo abbastanza. E, a meno che non abbiate problemi di salute, certi piatti tradizionali non possono essere serviti insipidi! I nostri antenati ci ripudierebbero!) e aggiungete se necessario, durante la cottura, un cucchiaio di acqua calda alla volta. Quando le verdure saranno tenere (ma non sfatte) spegnete e lasciate intiepidire. Poi guarnite con una bella spolverata di pepe nero e del prezzemolo tritato, e servite.
Per la versione agrodolce non cambia nulla. A fine cottura, prima di spegnere, aggiungete l’aceto con lo zucchero, girate, fate evaporare l’alcool e spegnete. In questo caso però la ‘frittedda’ non si può mangiare calda, quindi dovrete aspettare qualche oretta per farla riposare. Inoltre, potrete dire addio ad un bel piatto di spaghetti e questo non va bene!

Io, al posto vostro, farei metà e metà! Così si contentano tutti in famiglia!




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